Diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini e diritto all’anonimato della madre

La Corte Costituzionale risponde alla questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale per i minorenni di Catanzaro circa dell’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).

Il Giudice minorile, in particolare, osserva che “il diritto a conoscere le proprie origini contribuisce, dunque, in maniera determinante a delineare la personalità di un essere umano e rientra, quindi, nell’ambito dei principi tutelati dall’art. 2 Cost., che nella specie risulterebbero violati: negare, infatti, a priori l’autorizzazione all’accesso alle notizie sulle proprie origini, in ragione del fatto che il genitore abbia dichiarato di non voler essere nominato, compromette il diritto all’identità personale dell’adottato”.

“La disposizione oggetto di impugnativa violerebbe anche il principio di uguaglianza, trattando in modo diverso l’adottato la cui madre non abbia dichiarato alcunché e quello la cui madre abbia dichiarato di non voler essere nominata, senza considerare l’eventualità che possa aver cambiato idea e lei stessa desideri avere notizie del figlio. Nella specie, sussisterebbero interessi contrapposti: da un lato, quello dell’adottato a conoscere le proprie origini, quale espressione del diritto alla propria identità personale; dall’altro, le esigenze di protezione della famiglia adottiva e quello all’anonimato della famiglia naturale, quale ulteriore garanzia per la famiglia adottiva. La norma impugnata avrebbe privilegiato esclusivamente l’interesse del genitore all’anonimato, senza controllarne l’attualità, sacrificando sempre e comunque l’interesse dell’adottato, in
ipotesi anche a fronte di gravi esigenze attinenti alla sua salute psico-fisica”.

La Corte Costituzionale, riflettendo sul profilo “diacronico” della tutela assicurata al diritto all’anonimato della madre  ritiene fondate le argomentazioni del Tribunale e rileva “Sul piano più generale, una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”: ove così fosse, d’altra parte, risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost. In altri termini, mentre la scelta per l’anonimato legittimamente impedisce l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta”.

La Corte conclude che “la disciplina all’esame è, dunque, censurabile per la sua eccessiva rigidità”.