Quesiti settore penale – Congresso 17.11.2017
Si pubblicano le risposte fornite dalle Camere ai quesiti posti dal Settore Penale al Congresso tenutosi a Roma in data 11.11.2017.
Si pubblicano le risposte fornite dalle Camere ai quesiti posti dal Settore Penale al Congresso tenutosi a Roma in data 11.11.2017.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 30294/17; depositata il 18 dicembre
La Corte di Cassazione nella pronuncia in commento ha chiarito che “consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni”.
Nel caso di specie, il ricorrente, dopo aver espresso il consenso all’inseminazione eterologa, revocava tale consenso con successiva comunicazione, giunta però quando il trattamento embrionale era già stato iniziato.
Precisa il Collegio che “l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo e assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota”.
Pertanto, l’uomo che abbia dato il consenso alla fecondazione eterologa della donna, non potrà revocarlo quando la procedura di trattamento embrionale sia già iniziata e neppure potrà, successivamente, disconoscere la paternità del nato per la sua impotenza a generare.
Non appare contrario all’ordine pubblico il provvedimento di adozione di un minore da parte della partner della mamma biologica, emesso da un’autorità giurisdizionale straniera, sulla scorta della lettura evolutiva operata dalla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 12962/2016, ha offerto un’interpretazione più ampia della nozione di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” prevista dall’art. 4, lett. d) L.184/83.
Il provvedimento è dunque direttamente trascrivibile dall’Ufficiale di Stato civile Italiano, negli appositi registri ex art.41, co.1, L.218/1995, senza necessità di alcun procedimento.
Corte dei diritti dell’Uomo, Sentenza del 14/12/2017, in tema di rispetto del diritto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), relativamente alla registrazione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso
La Corte EDU ha condannato l’Italia per aver impedito la trascrizione dei matrimoni e delle unioni civili contratti all’estero da cittadini dello stesso sesso, così negando qualsiasi forma di riconoscimento e tutela per le loro relazioni, prima della riforma intervenuta nel 2016.
La Corte ha affermato che il vuoto legislativo anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76/2016 è incompatibile con il rispetto del diritto alla vita privata e familiare sancito dalla Carta EDU all’art. 8.
Per i giudici di Strasburgo, pur non sussistendo un obbligo in capo allo Stato Italiano di riconoscere i matrimoni stranieri same-sex, la normativa nazionale avrebbe dovuto tutelare i diritti di queste unioni proprio in virtù dell’art. 8 CEDU.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 220 del 2017, che contiene una serie di disposizioni correttive ed integrative della normativa di settore.
La norma prevede compiti di monitoraggio per l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e attribuisce al Tribunale per i Minorenni in composizione monocratica la competenza alla nomina del Tutore.
NELLE AZIONI DI STATO L’INTERESSE DEL MINORE NON COINCIDE AUTOMATICAMENTE CON IL FAVOR VERITATIS. LA CONSULTA CON LA SENTENZA N. 272/2017 SUPERA IL PROPRIO PRECEDENTE ORIENTAMENTO E RICHIEDE CHE ESSO SIA BILANCIATO CON IL FAVOR MINORIS.
Con la sentenza interpretativa di rigetto n. 272/2017 depositata in data 18 dicembre 2017 la Corte Costituzionale (Pres. Grossi – Red. Amato) risolve, dichiarandola non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. prospettata con ordinanza del 25 luglio 2016 dalla Corte d’Appello di Milano (Pres. Estensore La Monica) nell’ambito di un giudizio avente origine da un caso di maternità surrogata. I Giudici costituzionali affermano il principio per cui nell’azione promossa ai sensi dell’art. 263 c.c. occorre sempre in concreto valutare quale sia l’interesse del minore, così superando l’automatismo precedente che lo identificava esclusivamente con il favor veritatis. In particolare, la decisione della Corte Costituzionale richiede che il favor veritatis ed il favor minoris non siano più intesi alternativamente, ma siano posti all’interno di un giudizio di bilanciamento, laddove si effettuerà una comparazione “tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore”.
La Consulta opera un deciso revirement rispetto alla propria precedente giurisprudenza.
È noto infatti che con la sentenza n. 112/1997, avente sempre ad oggetto l’art. 263 c.c., la Consulta aveva affermato l’apodittica coincidenza tra favor veritatis e favor minoris, sostenendo che “l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è ispirata al principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere” per concludere che “non si può contrapporre al favor veritatis il favor minoris, dal momento che la falsità del riconoscimento lede il diritto del minore alla propria identità”.
Con la sentenza n. 272/2017, resa all’esito dell’udienza di pubblica discussione con l’intervento dell’Avvocatura dello Stato, nonché dell’Avv. Grazia Ofelia Cesaro in qualità di Curatore speciale del minore coinvolto nel procedimento, e degli Avvocati Francesca Zanasi e Massimo Clara quali difensori della madre del minore, la Corte Costituzionale muta profondamente il proprio orientamento e si adegua al rinnovato contesto legislativo nonché storico-sociale.
Per la Consulta il richiesto intervento manipolativo sarebbe superfluo in quanto lo stato attuale del nostro ordinamento, anche letto alla luce dei principi sovranazionali che regolano la materia, oggi consente un’applicazione dell’art. 263 c.c. nel senso richiesto dal Giudice a quo e dalle parti coinvolte. La Corte Costituzionale precisa come “la giurisprudenza di legittimità ha escluso, infatti, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale”, e conclude chiarendo definitivamente che “l’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento”.
La Consulta dunque consacra la necessità di valutare in concreto, nell’ambito del bilanciamento comparativo tra i valori coinvolti, l’interesse preminente del minore quale principio cardine del nostro ordinamento giuridico, come tale destinato a trovare applicazione non solo con riferimento al caso di specie ma in ogni decisione destinata ad incidere sui diritti dei minori.
Avv. Grazia Ofelia Cesaro
Responsabile Settore Internazionale
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che introduce modifiche alla disciplina della protezione internazionale e alle disposizioni in materia di minori stranieri non accompagnati (decreto legislativo 142/2015 e legge 47/2017). Il documento, intervenendo su una delle maggiori criticità della l. 47/17, attribuisce al Tribunale per i Minorenni, anziché al giudice tutelare, la competenza a nominare il tutore del minore straniero arrivato solo nel nostro paese.
“Poiché un minore straniero affidato a un cittadino italiano in virtù di un provvedimento di kafalah di origine negoziale, omologato da un’autorità pubblica, rientra nella nozione di “altri familiari” di cui all’art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. 30/2007, non può rifiutarsi il rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare”
Con la pronuncia in oggetto la Suprema Corte respinge il ricorso del ministero degli Esteri contro la decisione del Tribunale notarile di Rabat, confermando il visto d’ingresso per il ricongiungimento familiare con il bambino preso in affidamento da un cittadino italiano grazie all’istituto islamico della kafalah, anche se non stata disposta dal giudice ma frutto di un “accordo” omologato da un’autorità pubblica dello stato di origine del minore.
Il minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori con “custodia primaria” alla madre presso la quale è collocato, secondo il provvedimento del giudice straniero, non può essere trasferito senza il consenso del padre in un Paese diverso da quello nel quale è abitualmente residente e in cui mantiene i legami con il genitore non collocatario. Nell’ipotesi di dissenso di quest’ultimo, il trasferimento può avvenire soltanto con un provvedimento giudiziale.
La Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi su ricorso presentato dal tutore avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo aveva disposto la revoca dello stato di adottabilità di una minore. Il tutore, alla luce della peculiarità delle condizioni psico-fisiche dei genitori, rilevava l’omessa verifica delle condizioni contingenti della minore e del suo stato psicologico, chiedendo un’attenta e concreta valutazione del prevalente interesse della minore al mantenimento o alla recisione del legame con il genitore.
La Corte di Cassazione osserva che, perché si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono risultare, all’esito di rigoroso accertamento, carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sè, una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell’esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell’assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un’equilibrata e sana crescita psicofisica.
La Corte evidenzia che tale valutazione d’idoneità deve essere eseguita attraverso un controllo della relazione intrafamiliare e non esclusivamente sulla persona del genitore, occorrendo anche osservare con attenzione lo stato psicologico ed evolutivo del minore.
La sentenza impugnata viene dunque cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo.